In Italia, al 31/12/2022, sono presenti 431.985 capi distribuiti in 2.485 allevamenti (fonte BDN).
ANASB, al 31/12/2022, associa 1.003 allevamenti e gestisce i dati di 267.787 capi (tra soci in selezione ed anagrafici).
Localizzazione
Nel corso dell’ultimo secolo, l’allevamento bufalino ha continuato ad incrementare numeri ed economia. La razza, in passato definita a triplice attitudine (latte, carne e animale da lavoro), è stata selezionata per favorire la produzione di latte a discapito della valorizzazione alimentare delle sue carni, pur dotate di qualità note e funzionali, nutraceutiche e antiossidanti (Salzano et al. 2021, D’Onofrio et al. 2019, Campanile et al. 1997-2001).
Nello scenario zootecnico italiano esiste la “Bufala Mediterranea Italiana”, l’ultimo animale ad essere stato introdotto nella nostra Penisola, che dal dopoguerra ad oggi ha fatto registrare un notevole aumento: da 12.000 capi censiti nel 1947 attualmente ne conta 431.985, distribuiti in 2.485 allevamenti. I capi allevati sono distribuiti in tutta Italia con maggior prevalenza in Campania nelle province di Caserta e Salerno (75% del totale) e in Lazio nelle province di Latina e Frosinone (17% del totale). Ad esse si aggiungono la provincia di Foggia (3% di capi sul totale) e quella di Isernia a definire l’areale della Mozzarella di Bufala Campana DOP.
Storia
Il bufalo (Bubalus bubalis) era presente nel Pleistocene sia in Europa sia nel sud dell’Asia. I cambiamenti climatici confinarono la specie nell’attuale territorio che comprende l’India, l’Indocina e il sud est Asiatico, da cui successivamente migrò in Mesopotamia, Europa orientale, Siria ed Egitto. L’introduzione del bufalo in Italia, ancora oggi, è oggetto di controversie, in quanto non è facile desumere dai documenti esistenti se la specie era presente sul nostro territorio prima dell’invasione dei Longobardi.
Diverse teorie sono avanzate sull’introduzione del bufalo in Italia. Secondo alcuni studiosi deriverebbe da esemplari di bufalo introdotti proprio in epoca Longobarda nell’Italia Meridionale, con le invasioni barbariche del VI secolo, e precisamente nel 596 da Agilulfo. Secondo altri furono i Re Normanni intorno all’anno mille a diffondere il bufalo nell’Italia meridionale a partire dalla Sicilia, dove era stato introdotto dagli Arabi. Altri ancora sostengono che il bufalo sarebbe stato allevato in Italia fin dall’epoca greca e romana. Infine, c’è chi sostiene l’origine autoctona.
A sostegno di tale ipotesi, vi sono anche dei ritrovamenti di resti fossili nella campagna romana e nell’isola di Pianosa nell’arcipelago toscano. Una delle prime testimonianze scritte sulla presenza di questo animale in Italia è contenuta nei documenti dell’Abbazia di Farpa (Lazio) nel XII secolo, e successivamente in epoca angioina (XIII secolo) in un decreto del Re Carlo I d’Angiò, in cui si ordina di restituire un bufalo domito, cioè un bufalo “da lavoro”. Nel XII secolo i monaci del Monastero di San Lorenzo in Capua offrivano ai componenti del Capitolo, in occasione della celebrazione della festa del Santo patrono, una mozza o provatura di bufala con un pezzo di pane. La tecnica di lavorazione del latte di bufala era infatti ormai nota, e già nel 1294 venivano inviate settimanalmente a Napoli provole dalla tenuta reale di Santa Felicitam in Foggia.
In seguito alle invasioni barbariche diversi territori vennero abbandonati e furono soggetti ad un graduale impaludamento che coincise con il diffondersi della malaria, protrattasi fino allo sbarco degli alleati nella rada di Paestum. L’unica forma di attività agricola e zootecnica dei terreni pianeggianti e paludosi della piana del Sele era rappresentata dall’allevamento del bufalo che era in grado di trasformare le risorse foraggere degli acquitrini in un prodotto che ormai sosteneva una delle attività economiche più floride del territorio. Tutto ciò avvenne là dove altri ruminanti facevano registrare elevati tassi di mortalità e per tale motivo non erano in grado di produrre reddito.
Al bufalo va attribuito il merito di aver reso possibile l’utilizzo di territori degradati e aree marginali, evitandone il completo abbandono da parte dell’uomo; infatti la bufala è un’animale rustico, sia dal punto di vista alimentare che di resistenza alle malattie, predilige gli ambienti acquitrinosi e fangosi, ma possiede una capacità di adattamento a tutti gli ambienti e sistemi di allevamento.
L’Associazione Nazionale della Specie Bufalina (A.N.A.S.B.), è stata istituita nel 1979 e riconosciuta nel 1994 dal Mipaaf. Il Decreto Ministeriale 20154 dell’11 febbraio 2000 affida ad ANASB il Libro Genealogico della Specie Bufalina. Sempre nello stesso anno, il D.M. 201992 del 5 luglio 2000 riconosce che le bufale iscritte al Libro Genealogico appartengono ad una propria razza, definita come Bufala Mediterranea Italiana.
Descrizione morfologica
Il bufalo si distingue dal bovino per una serie di fattori: assenza di giogaia, la forma delle corna, la convessità frontale e il numero di cromosomi. La Bufala Mediterranea Italiana appartiene alla sottospecie Bubalus bubalis e possiede 50 cromosomi. Il colore del mantello è bruno chiaro (aleardo) tendente al marrone scuro, bruciato, quasi nero, più carico in corrispondenza della parte anteriore del tronco. I peli sono neri, radi, più abbondanti nella parte libera degli arti, con presenza, a volte, di peli bianchi sulla testa, sulla parte termine del fiocco della coda e di balzane a uno o più arti.
La pelle di colore grigio ardesia che scolora verso il rosso in corrispondenza delle pliche cutanee, in particolare nelle facce interne delle cosce e dell’attaccatura della mammella. Orecchie, ano, vulva, prepuzio, scroto, unghioni, musello e contorno degli occhi, sono neri.
La testa è armonica, leggermente allungata con ampio sincipite e profilo convesso, coperto di peli folti.
Fronte breve e larga, naso lungo e largo con profilo rettilineo; padiglioni auricolari spessi e larghi, portati orizzontalmente con apertura in avanti, rivestiti di peli corti e radi all’esterno e lunghi abbondanti all’interno.
Occhi grandi neri, vivaci, mobili con sopracciglia e ciglia lunghe.
Bocca larga con mascelle forti. Musello ampio, nero, con narici molto sviluppate.
Le corna sono di colore bruno, simmetriche, lunghe 50-60 cm nel maschio e superiori nelle femmine, dirette lateralmente e all’indietro.
Il collo è ricco di pliche verticali con margine dorsale leggermente incavato e ventrale rettilineo, convesso e privo di giogaia.
Il petto è costituito dalla tipica “punta di petto”, ovvero una plica cutanea a forma di borsa, voluminosa, più o meno carnosa negli animali anziani di entrambi i sessi.
Garrese esteso, lungo e ben arcuato, non molto largo; dorso lungo largo e armonicamente fuso con le regioni adiacenti. La groppa è leggermente inclinata verso il posteriore, armonicamente sviluppata, tendente alla forma quadrata.
Attacco della coda non rientrato. Quest’ultima giustamente lunga e larga alla base.
Torace largo e profondo con spalle forti e ben attaccate; addome voluminoso ma non cadente, fianchi pieni e profondi.
Unghioni ben serrati e compatti, con suola alta, specie nel tallone. Pastoie forti e corte.
La mammella è ben conformata, distesa in avanti, di tessitura morbida, spugnosa, elastica, con pelle fine, caudalmente ricca di pliche dopo la mungitura. Capezzoli piuttosto lunghi, ben distanziati, verticali.
Il maschio, in genere, più tozzo e con il tronco più largo e più alto, può raggiungere un peso di 800 kg; le femmine mediamente 650 kg. La durata della gravidanza è 308 giorni e l’età media al primo parto si aggira sui 24/30 mesi. Notevole la durata della carriera produttiva, fino a 15 anni e 10/11 lattazioni. Pur nascendo come un animale a triplice attitudine, oggigiorno il valore principale della Bufala Mediterranea Italiana, è la produzione di latte. Produce in media 9 litri di latte al giorno, con percentuali di grasso e proteine all’incirca del 8,16% e 4,67%, contenente circa il 4,5-5% di lattosio. La resa casearia risulta superiore di circa 1,8 volte rispetto a quella del latte vaccino; dalla lavorazione di 100 kg di latte, si ottengono 24 kg di mozzarella rispetto ai 13 kg ottenuti mediamente dalla stessa quantità di latte vaccino.
Particolare importanza assume la sua microflora: in condizioni normali, sono presenti alcuni ceppi di lattobacilli la cui attività metabolica influisce sulla mozzarella e sembra inoltre influire notevolmente sul fenomeno di acidificazione della cagliata durante la caseificazione dei prodotti lattiero-caseari.
Discreta è anche la produzione di carne; la resa al macello oscilla tra il 45/50% e qualitativamente la carne è superiore a quella bovina sia dal punto di vista del contenuto di grasso (1,5% rispetto al 20% della carne bovina), sia per il contenuto di colesterolo (35 mg su 100 g di prodotto rispetto agli 80 mg contenuti nella carne bovina).
Risultati progetto
Caratterizzazione fenotipica – FASE 1
Caratterizzazione fenotipica – FASE 2
Caratterizzazione fenotipica – FASE 3
Caratterizzazione fenotipica – FASE 4
Caratterizzazione fenotipica – FASE 5
Caratterizzazione genetica e inbreeding – FASE 1
Caratterizzazione genetica e inbreeding (FASE 2 e 3)
Caratterizzazione genetica e inbreeding – FASE 4
Caratterizzazione genetica e inbreeding – FASE 5
Raccolta di materiale biologico e germoplasma (FASE 1 e 2)
Raccolta di materiale biologico e germoplasma (FASE 3 e 4)
Raccolta di materiale biologico e germoplasma – FASE 5
Piano di accoppiamento (FASE 1 e 2)